Polo Museale

27 Giugno 2024

7. Ceramiche – Ceramics

Una guida sonora agli ambienti del museo.
An audio guide to the museum ambiences.

Trascrizione
italiana.

In questo corridoio possiamo ammirare la collezione del Museo della Ceramica. Alcuni dei pezzi qui contenuti è possibile osservarli all’interno di altre stanze nei loro contesti. La facile reperibilità dell’argilla nel territorio ha reso quest’ambito dell’artigianato molto proficuo fin dall’antichità, variegando quindi forme e utilità dei prodotti. Avviciniamoci alla prima vetrina: qui sono conservati i piatti per i pasti principali.

Notiamo subito le peculiari decorazioni artistiche che si ripetono schematicamente in molti prodotti: motivi floreali, geometrici e il gallo. Quest’ultimo con aspetto spesso pomposo era di buon auspicio, simboleggiando l’arrivo del sole sulle tenebre, quindi la rinascita e la fertilità. Tra i piatti scorgiamo quelli di grandi dimensioni detti piatti “minzani”. Nelle famiglie più povere il piatto “minzanu” veniva posto appunto “mmienzu” al tavolo, cioè al centro. Una volta riempito di cibo la famiglia intera mangiava dallo stesso. Sotto vediamo i Catini delle stoviglie di dimensioni più abbondanti per il lavaggio di verdure. Alla sinistra della vetrina osserviamo i “pitari”, ovvero orci per contenere l’olio, il vino e derrate alimentari. Nella seconda teca sono contenute delle zuppiere (coppi pi lu brotu) con decorazioni prevalentemente blu floreali e un particolare scolapasta in creta. Insieme ad esso gli ursuli, orcioli da tavola con beccuccio contenenti acqua o vino. A sinistra vediamo invece gli “shtangati”: questi contenitori sono forniti di coperchio per assicurare una conservazione più duratura delle derrate alimentari. In esso venivano conservati

ad esempio la ricotta “shcanti”, peperoni, fichi, peperoncini, eccetera. Solitamente il contenuto dello stangato veniva tenuto pressato tramite l’uso di una tavoletta circolare spinta dal peso di un sasso posizionato al di sopra di essa. Insieme a delle “capase”, contenitori dalla forma panciuta e imboccatura larga provvisto di 4 manici o di forma cilindrica. Anche queste,

essendo la terracotta un buon isolante di temperatura, avevano la funzione di conservare gli alimenti.

Spostiamoci alla prossima vetrina. Nel ripiano più alto due oliere e a destra una borraccia dalla forma circolare per poter essere facilmente legata con una corda e portata a tracolla. Sotto di loro poi dei contenitori ornamentali e coppa da latte in terracotta marmorizzata. Ancora in basso terracotta da fuoco lavorata in modo da essere esposta a temperature molto alte. tra i tegami una tisaniera adoperata principalmente per la preparazione della “cucummedda” (la camomilla), ma anche di altre erbe con la malva o il papavero.

Concludiamo con le pignate: recipienti per la cottura dei sughi di carne, legumi, cereali e la purea di fave. Procedendo, incontriamo i “marruffi”. Questi contenitori erano utili per rendere più semplice il trasporto del vino sul posto di lavoro.

Quarta vetrina: in questa è possibile ammirare un’evoluzione della tecnica ceramica. Questa prevede ora decori sia nella struttura stessa sia nelle decorazioni pittoriche, tanto da rendere la ceramica perlopiù una parte ornamentale della casa. Iniziamo con un fiasco per trasportare il vino detto “cuccu”. In alto poi delle brocche (“ciarle”) con decorazioni floreali, tra cui una con effetto marmorizzato ottenuto miscelando pezzi di terracotta di colore diverso ed altri blocchi e con effetto invetriato. In fondo le “minzani pi lu mieru”,

ovvero le anfore per il vino caratterizzate da un imboccatura più larga rispetto a quella dei maruffi e utile nel travasare il vino da contenitori più grandi a quelli più piccoli. Sulla sinistra delle anfore minzane per il trasporto dell’acqua e degli orcioli di forme più contenute rispetto al maruffo detti “mmili”. La struttura di questi permettevano al liquido contenuto di mantenere la freschezza naturale dell’acqua più a lungo così da renderli utili sul posto di lavoro. Nell’ultima teca vediamo una raccolta di orciuoli di dimensioni e forme diverse. Un bicchiere spicca per particolarità: la brocca “mbivi ci si capaci” in italiano bevi se ne sei capace. Bisognava
in effetti tappare un foro sotto il manico e aspirare dal beccuccio per riuscire a berne il liquido senza farlo cadere dai fori sul collo. A terra a sinistra della teca dei “catini” per lavare bucato.

 

English
trascription.

In this corridor, we can admire the collection of the Ceramics Museum. Some of the pieces displayed here can also be seen in other rooms in their contexts. The easy availability of clay in the region has made this craft very profitable since ancient times, resulting in a variety of forms and uses for the products. Let’s move closer to the first display case: here we can find plates used for main meals.

We immediately notice the peculiar artistic decorations that are schematically repeated in many products: floral, geometric motifs, and the rooster. The latter, often depicted in a pompous manner, was a good omen, symbolizing the arrival of the sun over darkness, hence rebirth and fertility. Among the plates, we can see the large-sized ones called “minzani” plates. In poorer families, the “minzanu” plate was placed “mmienzu” at the table, meaning in the center. Once filled with food, the entire family would eat from it. Below, we see the basins called “catini”, larger in size, used for washing vegetables. To the left of the display case, we observe the “pitari,” which are jars used to store oil, wine, and foodstuffs.

In the second display case, there are soup cups (coppi pi lu brotu) with predominantly blue floral decorations and a particular clay colander. Alongside it, the “ursuli,” small table jars with spouts containing water or wine. To the left, we see the “shtangati”: these containers come with a lid to ensure longer preservation of foodstuffs. They were used to store items such as ricotta “shcanti,” peppers, figs, chili peppers, etc. Usually, the content of the shtangato was kept pressed by a circular wooden board pushed down by the weight of a stone placed on top of it. Along with some “capase,” which are bulbous-shaped containers with a wide mouth and four handles, or cylindrical in shape. These, too, were used to preserve food, as terracotta is a good temperature insulator.

Let’s move to the next display case. On the top shelf, there are two oil dispensers and, to the right, a circular flask designed to be easily tied with a rope and carried over the shoulder. Below them, there are ornamental containers and a marbled terracotta milk bowl. Further down, there is fire-hardened terracotta crafted to withstand very high temperatures. Among the pots, there is a teapot mainly used for preparing “cucummedda” (chamomile), but also other herbs such as mallow or poppy.

We conclude with the “pignate”: vessels for cooking meat sauces, legumes, cereals, and fava bean puree. Moving on, we come across the “marruffi”. These containers were useful for making it easier to transport wine to the workplace.

Fourth display case: here you can admire the evolution of ceramic techniques. This now includes decorations both in the structure itself and in the painted designs, making ceramics primarily ornamental parts of the home. Let’s start with a wine flask called “cuccu.” On the top, there are jugs (“ciarle”) with floral decorations, including one with a marbled effect achieved by mixing pieces of differently colored terracotta and other blocks with a glazed effect. At the bottom, there are “minzani pi lu mieru,”

wine amphoras characterized by a wider mouth compared to the “marruffi,” useful for transferring wine from larger to smaller containers. To the left of the wine amphoras, there are water amphoras and smaller jars than the “marruffo” called “mmili.” The structure of these allowed the contained liquid to maintain the natural freshness of the water for a longer time, making them useful in the workplace.

In the last case, we see a collection of jars of various sizes and shapes. One glass stands out for its uniqueness: the jug “mbivi ci si capaci,” which translates to “drink if you can.” To drink from it without spilling, you had to plug a hole under the handle and sip from the spout, ensuring the liquid didn’t spill from the holes on the neck. On the ground to the left of the case, there are basins (“catini”) for washing laundry.

 

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