Polo Museale

27 Giugno 2024

6. Corridoio pt. 2 – Corridor pt. 2

Una guida sonora agli ambienti del museo.
An audio guide to the museum ambiences.

Trascrizione
italiana.

Si distinguevano due tipi di falegnami: il falegname “ti l’arti fina” che si occupava della costruzione dei mobili e il falegname “ti l’arti crossa”. Quest’ultimo si occupava di realizzare grosse costruzioni in legno, tra tutti i traìni, calessi e carrozze di vario tipo. I legni adoperati erano diversi a seconda della parte di carro. Vediamo il grande strumento al centro della zona, detto “mola”. Questo era utile nell’affilatura degli strumenti in metallo e levigatura. Appese al muro a sinistra, delle pialle per levigare il legno e ridurlo di spessore. Davanti a tutti vi è il cric meccanico per consentire al falegname di effettuare riparazioni ai carri danneggiati.

Due passi più avanti nel corridoio incontriamo “lu scarparu”, o calzolaio.
Data la povertà diffusa nella popolazione del periodo, si preferiva sempre riparare invece che ricomprare. Ed è infatti come ciabattino che “lu scarparu” impiega la maggior parte del suo tempo, in una professione che prima dell’avvento dell’era moderna era molto popolare. Egli era comunque un calzolaio. Vediamo infatti nel suo spazio, che doveva essere anche nella realtà così piccolo, delle forme in legno per tenere conto della misura del piede mentre fabbricava la scarpa e una serie di altri attrezzi utili al suo lavoro.

Sempre rimandendo nell’ambito delle riparazioni, alle nostre spalle vediamo dei cocci. Solo due delle brocche presenti sono nel loro stato originario, eccetto per gli spilli che tengono insieme le parti. Questo è l’operato de lu “conzalimmi”, in italiano “conciabrocche”. Ogni due settimane circa si aggirava per le strade del paese, annunciandosi ad alta voce. Gli attrezzi che portava con sé erano un particolare trapano chiamato in dialetto “trapanaturu” col quale forava i bordi dei pezzi di terracotta, il fil di ferro per riunire le parti e della calce (o più tardi cemento) per riempire la crepa. Le ceramiche potevano così essere riutilizzate per molto tempo.

Proseguendo su questo lato del corridoio incontriamo prima dell’attrezzatura per la stampa, ciclostile e vari timbri.

Nell’angolo invece, una fauci, attrezzo per falciare manualmente il grano e altri cereali.

Nell’angolo opposto degli attrezzi agricoli. Cominciamo dai falcioni a sinistra. Appesi al manico di uno d’essi dei pezzi di canna legati da una cordicella. Questi erano delle protezioni per le dita per evitare di tagliarsi durante la falciata. Oltre alle falci rastrelli vari, bastoni biforcuti per smuovere i rami degli alberi di ulivo e farne cadere le olive da raccogliere successivamente da terra.

English
trascription.

There were two types of carpenters: “ti l’arti fina” (fine arts carpenter) who mainly built furniture, and “ti l’arti crossa” (raw art carpenter). The latter made large wooden constructions, such as carts, carriages, and various types of wagons. Different woods were used depending on the part of the cart. In the center of the area, we see the large tool called a grindstone, used for sharpening metal tools. Hanging on the wall to the left are planes for smoothing wood and reducing its thickness. In front of all the objects is a mechanical jack to allow the carpenter to make repairs to damaged carts.
A few steps further down the corridor, we encounter “lu scarparu” or the cobbler. Due to the widespread poverty of the period, people preferred repairing instead of buying new, and the cobbler spent most of his time as a shoemaker in a profession that was very popular before modernity. We see in his small space, just like it would have been in reality, wooden lasts for measuring feet while making shoes, and a series of other tools useful for his work. Still in the realm of repairs, behind us, we see some shards. Only a few of the jugs present are in their original state, except for the pins holding the pieces together. This is the work of the “conzalimmi,” or pot mender. About every two weeks, he would roam the streets of the village announcing his services aloud. His tools included a special drill called “trapanaturo” (used to bore holes in the edges of terracotta pieces) and wire to join the parts. Lime or later cement was used to fill the cracks. The ceramics could thus be reused for a long time. Continuing along this side of the corridor, we see old printing and mimeograph materials.
In the corner ahead, we see a “fauci,” a sickle with a short handle and smooth blade used for manually cutting wheat or other cereals. In the other corner of the room, we conclude with some agricultural tools. The large hay sickles on the left, called “faucioni.” Hanging from the handle of one of these is a cane finger guard to prevent cutting oneself during the scything. Besides some pitchforks, we see stone tools on the ground: a mortar for crushing grain and cereals, a stone ball that might have been a catapult ball used in the Messapian era, and a roller. The latter two tools were used to prepare flat land or create small basins called “aie” in the dialect. One could proceed by shaking olive tree branches with bifurcated sticks. The olives that fell onto the flat ground or into the “aie” were more easily found and collected, a task usually done by women.

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