Polo Museale

28 Giugno 2024

4. Il Frantoio (Lu Trappitu – The Oil Mill)

Una guida sonora agli ambienti del museo.
An audio guide to the museum ambiences.

Trascrizione
italiana.

Tra ottobre marzo gruppi di uomini vivevano sotto terra, nel trappitu. Il lavoro duro e senza orari in questi frantoi sotterranei consisteva nello spremere le olive per poterne ricavarne l’oro liquido: l’olio. A capeggiare era il “nagghiru” e dopo di lui il “sottanagghiru” seguiti solitamente da altre tre persone, due “trappitari” e un “turlicchiu”, il giovane allievo che svolgeva i compiti tanto semplici quanto tediosi. Il termine “nagghiru” proviene probabilmente da “nocchiero”: gli uomini che erano occupati nel “trappitu” d’estate erano solitamente una ciurma di pescatori. Le olive una volta raccolte venivano molinate ottenendone la pasta di olive, che una volta apposta tra i “fisculi” (i dischi in vimini intrecciato), veniva spremuta con i torchi che vediamo di fronte a noi spinti dai trappitari. L’olio finiva poi nelle celle di decantazione sottostanti. A destra, sul pavimento, dei secchi che riempiti di olive, fungevano da unità di misura del peso, utili per la vendita porta a porta. A sinistra sul pavimento vediamo le damigiane: alcune di queste erano rivestite in vimini per diminuire il rischio di rottura e per preservare il liquido interno dai raggi solari. Appesi al muro, i setacci: il vaglio per le olive in dialetto “scigghiaturu” in legno per separare il frutto appena raccolto dalle foglie, “lu cicirau” di forma circolare veniva utilizzato per ripulire i legumi secchi dalle impurità. Lo stesso setaccio con i fori più larghi, “lu sciatucu” era usato per le fave. Voltiamoci verso l’altro lato della stanza: a terra a destra, vi sono le pompe per irrorare il solfato di rame sui Vigneti per disincentivare gli attacchi da parte degli insetti, poi in legno e di forma conica il torcifeccia con bastone. La pasta di olive una volta la spremuta con Il torchio e diventata morchio o gli scarti della produzione del vino detti feccia, venivano messi nel sacco di iuta e poi premuti ulteriormente con il bastone a mo’ di mortaio così da ottenere il resto dell’olio o del vino recuperabile. Un altro prodotto dell’Artigianato latianese, erano i cestini in vimini: ognuno di essi aveva una forma diversa a seconda della funzione del cestino. In fondo alla stanza, un carretto con scii per trasportare i tini nei campi e dei contenitori per la pigiatura del vino.

English

trascription.

From October to March, groups of men lived underground in the “trappitu.” The hard and unregulated work in these underground mills involved pressing olives to extract the liquid gold: olive oil. Leading the group was the “nagghiru,” followed by the “sottanagghiru,” and usually accompanied by three other people: two “trappitari” and a “turlicchiu,” the young apprentice who performed simple and tedious tasks. The term “nagghiru” likely comes from “nocchiero” (helmsman): the men who worked in the “trappitu” during the summer were usually a crew of fishermen. Once harvested, the olives were milled to obtain olive paste, which was then placed between “fiscoli” (woven wicker disks), and pressed with the presses we see in front of us, operated by the trappitari. The oil would then flow into the decantation cells below. To the right, on the floor, are buckets filled with olives, which served as units of measure for weight, useful for door-to-door sales. To the left on the floor, we see demijohns: some of these were covered in wicker to reduce the risk of breakage and to protect the internal liquid from sunlight. Hanging on the wall are sieves: the olive sieve, called “scigghiaturu” in dialect, made of wood, was used to separate freshly harvested fruit from leaves. The circular “lu cicirau” was used to clean dried legumes from impurities. The same sieve with larger holes, “lu sciatucu,” was used for broad beans. Let’s turn to the other side of the room: on the ground to the right are pumps for spraying copper sulfate on the vineyards to deter insect attacks. Then, made of wood and cone-shaped, is the “torcifeccia” with a stick. Olive paste, once pressed with the press and turned into “morchio” or wine production residues called “feccia,” was put into a jute sack and then pressed further with the stick like a mortar to obtain the remaining recoverable oil or wine. Another product of Latian craftsmanship was wicker baskets: each of them had a different shape depending on the basket’s function. At the end of the room, there is a cart with skis for transporting barrels to the fields and containers for grape pressing.

 

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